08.01 - A quale giudice è attribuita la competenza funzionale?

La nomina dell’amministratore di sostegno è rimessa alla competenza funzionale del giudice tutelare (art. 404 c.c.).

La scelta di attribuire al g.t. la gestione dell’intero procedimento si rinviene già nella c.d. bozza Cendon (artt. 13 e 14).

Il g.t. è l’organo del potere giudiziario, istituito presso ogni tribunale (art. 344 c.c.), cui è conferita una posizione preminente in tema di cura delle persone incapaci e di amministrazione del loro patrimonio. In particolare, il g.t. è individuato nel giudice del tribunale cui sono rimesse, tabellarmente (cfr. l'art. 43, lett. c), Ord. Giud.), le funzioni e gli affari civili in materia di tutela e curatela delle persone, come pure le altre funzioni affidategli dalla legge, come ha cura di precisare l'art. 344 c.c.

Le funzioni del g.t., nel procedimento di amministrazione di sostegno, si caratterizzano per “l’ascolto” del beneficiario (v. art. 407, 2° co., c.c.) e per l’individuazione di connessi, specifici profili d’incapacità gestionale, che trovano tutela nel decreto di nomina di a.d.s., il quale costituisce la cornice giuridica entro cui può operare il beneficiario (che delinea lo “statuto del disabile”, o progetto di protezione), come pure il suo vicario.

Il g.t. deve vagliare, anzitutto, il grado di disabilità della persona, coglierne le esigenze   concrete (quali, ad es., riscossione della pensione, amministrazione degli affitti, pagamento di bollette, gestione del suo patrimonio, etc.), se del caso, anche di natura esistenziale e di vita (connesse, ad es., al suo collocamento residenziale, nell’abitazione, al ricovero in casa protetta, in pensionato), ovvero, di salute (interventi chirurgici da autorizzare, cure mediche da praticare, etc.), che dovranno trovare equilibrata soluzione nel decreto di nomina.

Per la risoluzione dei piccoli e grandi problemi personali, quotidiani ovvero esistenziali, il giudice deve sempre “tener conto dei bisogni e delle richieste della persona”, che, in questa moderna prospettiva, non è più mero oggetto, ma piuttosto il soggetto attivo della procedura, l’attore primario e principale.

In questo senso il g.t., nell’espletamento di questo innovativo ruolo istituzionale, può qualificarsi giudice sensibile”. Egli dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere persona dotata di umanità e della giusta sensibilità, quella necessaria a cogliere le effettive esigenze, aspirazioni e bisogni della persona bisognosa, in grado di fornire la corretta “lettura” ai problemi emersi in sede istruttoria, oltre che dotato del necessario pragmatismo, scevro da superflui burocraticismi ed in grado di rispondere con umanità ed equilibrio, oltre che celerità, alle istanze dei cittadini.

Questa particolare sensibilità (e, vorremmo meglio dire, empatia col disabile)  non è innata e non necessariamente discende dalle doti individuali e tecniche del singolo magistrato, che possono sussistere o difettare, ma, normalmente, nasce da un percorso formativo interdisciplinare.


Cosa cambieresti o aggiungeresti rispetto alle indicazioni di cui sopra?