31.14 - Quali reati può commettere l’amministratore di sostegno?

L’amministratore di sostegno, dal momento in cui assume le funzioni con il giuramento, è un pubblico ufficiale. Ciò comporta che può rispondere di reati propri dal carattere plurioffensivo (offendono i beni del beneficiario e il corretto esercizio di poteri pubblici) quali, ad esempio, il peculato, l’abuso d’ufficio, il reato di falso commesso da pubblico ufficiale.

La Corte di Cassazione già aveva ritenuto la qualità di pubblico ufficiale in capo al tutore dell’interdetto, con la conseguenza che risponde di peculato e non di appropriazione indebita aggravata il tutore dell’interdetto che si appropri di somme di denaro appartenenti a quest’ultimo e ricevute/gestite in ragione dell’ufficio rivestito. Il tutore dell'incapace riveste la qualifica di pubblico ufficiale e la condotta di appropriazione di somme delle quali venga in possesso per ragione del suo ufficio integra il reato di peculato e non quello di appropriazione indebita. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva affermato la responsabilità per il delitto di peculato di persona che aveva esercitato di fatto le funzioni di tutore in virtù di incarico informale ricevuto dal soggetto ufficialmente investito dell'ufficio). (Cass 4.2.2014, n. 23353).

Anche per l’amministratore di sostegno valgono i medesimi principi: L'amministratore di sostegno riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò integra il delitto di peculato la condotta con cui si appropria delle somme di denaro giacenti sui conti correnti intestati alle persone sottoposte all'amministrazione. (In motivazione la Corte ha precisato che il reato di peculato non è ravvisabile a seguito del mero mancato rispetto delle procedure previste per l'effettuazione delle spese nell'interesse dell'amministrato, ma solo in presenza di una condotta appropriativa o, comunque, che si risolva nell'uso dei fondi o dei beni per finalità estranee all'amministrato). (Cass. 19 maggio 2016, n. 29117) 

Le recenti sentenze in materia hanno, dunque, equiparato la figura dell’amministratore di sostegno al tutore, evidenziando le norme che confortano tale equiparazione a fini penali, quali l’art. 349 cod.civ (la prestazione del giuramento prima dell’assunzione dell’incarico), gli artt. 350-353 cod.civ (regime delle incapacità e delle dispense del tutore/amministratore di sostegno); gli artt. 374-388 cod.civ (autorizzazioni, atti vietati,  obbligo di rendiconto annuale al giudice tutelare); artt. 596, 599, 779  cod civ. (incapacità a ricevere per testamento o donazioni, in quanto compatibili).

I casi portati all’attenzione della giurisprudenza hanno visto l’amministratore di sostegno imputato dei seguenti reati: 

a) peculato (art. 314 cod.pen) il reato è commesso quando l’amministratore di sostegno nella sua veste di pubblico ufficiale, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria; il reato è punito con la pena della reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi”. Integra il delitto di peculato la condotta dell'amministratore di sostegno che, essendo abilitato ad operare sui conti correnti intestati alle persone sottoposte all'amministrazione, si appropria, attraverso apposite operazioni bancarie, delle somme di denaro giacenti sugli stessi. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la disciplina applicabile all'amministratore di sostegno, in particolare avendo riguardo alle disposizioni del cod. civ. che ne regolano l'attività, l'obbligo annuale di rendiconto, le limitazioni alla capacità di ricevere per testamento e per donazione, ecc., consente di attribuire a quest'ultimo, negli stessi termini del tutore, la qualifica di pubblico ufficiale). (Cass dicembre 2014, n. 590574)

Se dei beni del Beneficiario si è appropriato al solo scopo di farne un uso momentaneo, e questi, dopo l’uso momentaneo, sono immediatamente restituiti, si configura il peculato d’uso punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. 

L’appropriazione di beni del beneficiario era stata configurata in giurisprudenza anche come appropriazione indebita (art. 646 cod.pen) aggravata ex art 61 n. 11 cod.pen dall’abuso di relazione d’ufficio o di prestazione d’opera; va evidenziato, al riguardo che l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod.pen. determina la procedibilità d’ufficio di un reato altrimenti procedibile a querela di parte (D.Lvo 10 aprile 2018, n. 36) e punito con la pena della reclusione da 2 a 5 anni (la pena fino a tre anni è stata aumentata con la  L.9 gennaio 2019, n.3).

b) Abuso d’ufficio (art 323 cod.pen.) che ricorre quando “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità”.

Il reato può essere integrato dalla condotta dell’amministrazione di sostegno che, anziché tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso (art. 410 cod civ), eludendo i propri obblighi, procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto.

Il reato di abuso d’ufficio, è stato oggetto di riforme legislative (Legge n. 86/1990 e Legge n. 234/1997), che ne hanno profondamente modificato l’assetto, “ridimensionando” l’astrattezza e la genericità della norma (quasi una “norma penale in bianco”) con la introduzione del danno ingiusto e/o dell’ingiusto vantaggio, elementi costitutivi del reato: si tratta, dunque, di un reato di evento e non di pura condotta, con la conseguenza che il termine di prescrizione decorre dal conseguimento del vantaggio o dal momento del danno. 

c) Falsità materiale (art. 476 cod.pen) il pubblico ufficiale che nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero è punito con la reclusione da uno a sei anni; Falsità ideologica (479 cod.pen) il pubblico ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato dal lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità soggiace alle pene stabilite nell’art. 476 c.p. 

L’amministrazione di sostegno commette detto reato, ad esempio, quando dichiara falsamente che il beneficiario si trova in condizioni di indigenza, per conseguire sussidi o contributi che altrimenti non sarebbero dovuti.

La Suprema Corte ha affermato, inoltre, che l'amministratore di sostegno quale pubblico ufficiale commette il reato de quo quando rende false dichiarazioni nel rendiconto depositato al Giudice Tutelare;

il reato di falsità può concorrere con quello di peculato in quanto gli stessi tutelano beni giuridici diversi ed hanno riferimento a condotte diverse, posto che la prima fattispecie punisce un'azione falsificatrice autonoma e non indispensabile per la configurazione della condotta appropriativa tipica del peculato (Cass 18 aprile 2014, n. 30412); ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, a prescindere dall’intenzione di recare un danno.

E’ stato riconosciuto il reato di cui all'art. 480 c.p. (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative) a carico di un tutore che, in concorso con un perito, aveva falsamente attestato il valore di un immobile di un interdetto, richiesto ed ottenuto l'autorizzazione alla vendita per un prezzo inferiore a quello di mercato, con  lo scopo di vendere prestanome: in detto caso non solo il tutore aveva rappresentato falsamente al Giudice Tutelare un prezzo diverso da quello reale, ma anche la necessità di procedere alla vendita.

Il reato dunque può ravvisarsi ogniqualvolta il tutore o l’amministratore di sostegno rappresentino al GT circostanze non veritiere. 

d) Rifiuto od omissione di atti d’ufficio (art. 328 cod.pen) il pubblico ufficiale…che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma il pubblico ufficiale …che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a  un anno o con la multa fino a euro 1032. Tale richiesta deve essere in forma scritta e il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa 

Dal decreto di nomina del Giudice Tutelare derivano obblighi e responsabilità, in capo all’amministratore di sostegno. Tra queste, l’obbligo di presentare periodicamente una relazione sulle condizioni personali e sociali del beneficiario e un rendiconto delle entrate e delle uscite: l’amministratore di sostegno che, pur sollecitato, non presenta il rendiconto può incorrere nel reato di cui all’art.328 cod. pen. E’ stato riconosciuto colpvole di omissione d’atti d’ufficio un avvocato –amministratore di sostegno e condannato con sentenza della Corte d’appello di Trieste del 22 aprile 2014; tale decisione non ha mancato di suscitare tuttavia qualche perplessità, atteso che l'art. 328 c. 1 c.p. punisce colui che omette di compiere un atto che deve essere compiuto senza ritardo: si può discutere se il rendiconto possa essere considerato un atto che rivesta i requisiti dell'urgenza sostanziale, anche qualora il ritardo non abbia provocato danno alcuno (si veda ad es. Tribunale di Genova 13 gennaio 2015, in cui l'imputato veniva assolto proprio perché non vi era stato danno). Accogliendo tale interpretazione, inoltre, il reato si perfezionerebbe (fatte salve eventuali diverse valutazioni in punto elemento soggettivo del reato) anche in difetto di un sollecito del Giudice Tutelare e persino nei casi in cui, per motivi anche gestionali o di opportunità, l'amministratore di sostegno ritardi il proprio rendiconto (si pensi al caso di un ritardo di un paio di mesi per illustrare compiutamente gli esiti di un'operazione di compravendita di un immobile). Anche nel caso in cui si volesse ritenere che non vi sia urgenza sostanziale e si ritenesse di applicare l'art. 328 c. 2 c.p., che sanziona il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, potrebbero sorgere dubbi sul fatto che basti un sollecito del Giudice Tutelare non rispettato a integrare gli estremi di reato. Si potrebbe infatti sostenere che l’effettivo interessato al compimento dell’atto sia il beneficiario (in quanto portatore di detto interesse) e non il Giudice Tutelare.

Vi sono poi altri reati che possono essere contestati all'amministratore di sostegno a prescindere dalla qualifica di pubblico ufficiale.

e) Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.)  Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o…compie sui propri o altrui beni, atti simulati o fraudolenti o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1032

Il caso esaminato dalla Suprema Corte è stato quello di soggetto aveva trasferito il beneficiario di un’amministrazione di sostegno in un luogo posto nel circondario di un tribunale diverso con il consenso del beneficiario stesso ma contro la volontà dell'amministratore di sostegno. La Cassazione ha escluso il reato, sia perché l'amministrato aveva conservato la titolarità dei propri diritti, ivi compreso quello di scegliere dove risiedere, sia perché il decreto di nomina non prevedeva alcuno specifico collocamento residenziale (Cass. Pen. Sez. VI 9 aprile 2013, n. 39217). La stessa sentenza ha poi escluso si potesse configurare la contravvenzione di cui l'art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità) in quanto la norma presupponeva solo provvedimenti amministrativi.

La giurisprudenza ha talora ravvisato il reato di cui all’art. 388 c.p. nel caso del tutore (o dell’amministratore di sostegno) nominato dal GT che rifiuti di prestare giuramento (Cass. Pen. 19 marzo 1951; Trib. Modena decreto 2 novembre 2005). E ancora: In tema di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, integra la condotta elusiva di cui all'art. 388, comma secondo, cod. pen. la inottemperanza da parte del tutore agli obblighi di cura ed assistenza dell'interdetto, atteso che il provvedimento giudiziale di nomina, a prescindere dai suoi contenuti formali, determina l'affidamento al medesimo del soggetto incapace, stante il richiamo operato dall'art. 424 cod. civ. alla disciplina relativa alla tutela dei minori, con il conseguente obbligo di provvedere non solo alla gestione del patrimonio, ma in primo luogo al soddisfacimento delle primarie esigenze personali. (Diff. Sez. 6, n. 6269 del 22/03/1984, Rv. 165147 - 01). Cass 15 ottobre 2019, n. 2952)

f) Abbandono di persone incapaci (art. 591 cod.pen) che può essere commesso da chiunque abbandona…una persona incapace per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa e delal quale abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.  

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che L'amministratore di sostegno non risponde del reato di abbandono di persone incapaci in quanto, salvo che sia diversamente stabilito nel decreto di nomina, lo stesso, a differenza del tutore, non è investito di una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace ma solo di un compito di assistenza nella gestione dei suoi interessi patrimoniali. (Nella fattispecie la Corte di cassazione ha escluso che potesse configurarsi tale reato nella condotta dell'amministratore di sostegno il quale si era allontanato per il fine settimana senza segnalare la necessità del ricovero in una struttura protetta dell'amministrato che viveva nella propria abitazione con l'assistenza di una badante e del figlio non convivente) (Cass. 26.02.2016 n.7974)

Da tale massima, si ricava che solo quando il decreto di nomina preveda espressamente doveri di assistenza e cura (che, tuttavia dovrebbero dirsi connaturati al ruolo) difficilmente l’amministratore di sostengo potrebbe sottrarsi anche a questo tipo di responsabilità e, prima di allontanarsi, dovrebbe organizzare una adeguata assistenza.

Non può invocarsi la causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod pen  poiché l’amministratore di sostegno, seppur parente, quando commette un reato ai danni dell’amministrato è pur sempre un pubblico ufficiale (Cass. pen. Sez. VI, 25 novembre 2015, n. 46797).


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