È nota, in ambito medico, la distinzione tra “emergenza” e “urgenza”.

L’ “emergenza” è una condizione che pone il paziente in imminente pericolo di vita e richiede un intervento immediato. L’ “urgenza” è, invece, una condizione che, in assenza di adeguato trattamento, può diventare critica.

Orbene, l’art. 1, co. 7, L. 219/2017 dispone che “nelle situazioni di emergenza  o  di  urgenza  il  medico  e  i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”.

Potrebbe darsi il caso che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno abbia validamente formulato delle D.A.T. (disposizioni anticipate di trattamento). 

In tale ipotesi trova applicazione l’art. 6, co. 5 della legge citata, secondo cui, in linea generale, “il medico è tenuto al rispetto delle DAT”.

Si deve escludere che, in situazioni di “emergenza” o di “urgenza”, trovi applicazione l’art. 1, co. 5, laddove, ammettere la possibilità di ricorso al Giudice Tutelare per la risoluzione del conflitto tra il medico e il rappresentante legale significherebbe vanificare la disposizione dell’art. 1, comma 7, mettendo a serio rischio la sopravvivenza del paziente. 

Dunque, per rispondere sinteticamente al quesito, si può affermare che il medico ed il personale sanitario hanno il dovere di intervenire, salvo che risulti una volontà contraria chiaramente manifestata dal paziente. 

In tal senso si è pronunciata la più recente giurisprudenza di merito, secondo cui “ove ricorra una situazione di emergenza ovvero anche di urgenza (la cui sussistenza è opportuno risulti dalla cartella clinica), costituisce preciso dovere del sanitario quello di intervenire, senza previamente acquisire la autorizzazione da parte del Giudice Tutelare” (Trib. Mantova, sez. I, 13 aprile 2018).