Il criterio del substituted judgement test, di matrice nordamericana, prevede un processo di ricostruzione della volontà, adottando come linea di orientamento il personale sistema di vita dell’incapace.
La ricerca della presunta volontà della persona in stato di incoscienza - ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell'interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita, del suo senso dell’integrità e dei suoi interessi critici e di esperienza - assicura che la scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante, ancorché appartenente alla stessa cerchia familiare del rappresentato, e che non sia in alcun modo condizionata dalla particolare gravosità della situazione, ma sia rivolta, esclusivamente, a dare sostanza e coerenza all’identità complessiva del paziente e al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona.
Il tutore ha quindi il compito di completare questa identità complessiva della vita del paziente, ricostruendo la decisione ipotetica che egli avrebbe assunto ove fosse stato capace; e, in questo compito, umano prima che giuridico, non deve ignorare il passato dello stesso malato, onde far emergere e rappresentare al giudice la sua autentica e più genuina voce.
In questo contesto, l’intervento del giudice esprime una forma di controllo della legittimità della scelta nell'interesse dell’incapace; e, all’esito di un giudizio effettuato secondo la logica orizzontale compositiva della ragionevolezza, la quale postula un ineliminabile riferimento alle circostanze del caso concreto e si estrinseca nell'autorizzare o meno la scelta compiuta dal tutore.