26.02 - Cosa si intende con l’espressione "cura della persona" prevista negli artt. 405, co. 4 e 408, co. 1, c.c. ?

Prendersi cura della persona significa manifestare nei suoi confronti un interessamento solerte e premuroso, prestandole la propria assistenza, accudendola, badandola, occupandosene. In questo risiede la rivoluzione “copernicana” introdotta dalla L. 6/2004 nell’ambito degli strumenti giuridici di tutela dei soggetti deboli: l’istituto dell’amministrazione di sostegno ha la virtù di aver messo la persona – e non più la malattia – al centro dell'universo della disabilità, della vecchiaia e di tutte le altre forme e manifestazioni del disagio umano. L'amministrazione di sostegno è cura della persona perché ha concretizzato la riconosciuta importanza del tenere in conto le capacità del beneficiario, seguendone le inclinazioni personali, rispettandone le scelte esistenziali, tutelandone i diritti fondamentali ed assicurandogli una misura di protezione adeguata alle concrete esigenze di tutela della persona.

Contrapponendosi con decisione agli istituti tradizionali il principio supremo cui il disposto normativo impone sia informata la risposta di protezione è quello della conservazione massima della capacità di agire del beneficiario.

In questa prospettiva il concetto di «cura della persona» si inquadra in un progetto di sostegno esistenziale ampio, proteso ad abbracciare i diversi aspetti dell’esistenza umana affidandone all’AdS la cura e tutela. L’amministrazione di sostegno, infatti, è forma di tutela estesa propositiva e non interdittiva, espansiva e non inibitoria, personalizzata, modulabile e non standardizzata, frutto di una concezione dei diritti delle fasce deboli della popolazione veramente conforme ai fini costituzionali di promozione del pieno sviluppo della persona umana (Trib. Pinerolo, 4 novembre 2004).

Vista la sua centralità, il concetto di “cura” così inteso ha trovato ampio spazio a livello legislativo, quale sintesi di uno dei principi portanti l’istituto dell’amministrazione di sostegno. Viene, anzitutto, espressamente richiamata dall’art. 408 c.c., che afferma solennemente il principio per cui la scelta dell'amministratore di sostegno deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona. Del pari, l’art. 405, co. 4, c.c. configura come urgenti i provvedimenti emanabili dal Giudice Tutelare per la cura della persona interessata, ribadendo l’importanza di tale concetto. 

La “cura” ha, poi, ispirato la recente legislazione in materia di consenso informato e DAT (L. 219/2017), confermandone l’ampiezza e l’importanza. Anche in questo caso la cura della persona presenta natura bicefala: da un lato, si valorizzano le capacità di comprensione e di decisione della persona incapace, garantendole un’informativa adeguata e la possibilità di scelta; dall’altro, si prevede che l’amministratore di sostegno possa esprimere o rifiutare il consenso a un atto sanitario in relazione al grado di incapacità del beneficiario e tenendo sempre conto della volontà dello stessi, in un’ottica di salvaguardia e mai di sostituzione del beneficiario. A ciò, si aggiunga l’ulteriore condizione posta dalla Corte costituzionale, secondo cui è altresì necessario che il Giudice Tutelare, nel decreto di nomina o con provvedimento successivo, abbia espressamente attribuito all’amministratore di sostegno il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita, non discendendo tale potere dal fatto che sia stata riconosciuta la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario (Corte cost., sent. 144/2019).

Pertanto, si deve ritenere che la “cura” della persona non coincida perfettamente né con la sola gestione patrimoniale né con una “cura” intesa in senso strettamente sanitario essendo un qualcosa che abbraccia tutti i fronti dell’agire umano e, dunque, tutti gli aspetti della persona del beneficiario che questi non è in grado di gestire – del tutto o parzialmente – in maniera autonoma.


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