24.08 - Quale tutela per l’attività negoziale che ecceda gli spazi di autonomia concessi o l’incarico ricevuto?

La risposta deve necessariamente tenere conto del “regime” di amministrazione disposta con il decreto iniziale, in particolare distinguendo i casi di amministrazione concorrente da quella esclusiva (o secondo la terminologia usata recentemente dal S.C. amministrazione di assistenza contrapposta a quella sostitutiva). Sembra utile in ogni caso, a fini espositivi, tracciare una distinzione fra gli atti compiuti dall’inabile prima e dopo la formale apertura dell’amministrazione di sostegno.

Per gli atti compiuti successivamente all’applicazione della misura di sostegno da parte del beneficiario, sovviene l’art. 412 c.c., che rispettiva mente, al primo ed al secondo comma, sanziona con l’annullabilità gli atti compiuti dall’amministratore in violazione di disposizioni di legge od ultra mandato e gli atti compiuti dal beneficiario in violazione di disposizioni di legge o delle prescrizioni contenute nel decreto del G.T. che istituisce l’amministrazione.

Cosa deve intendersi per atto compiuto in “violazione di disposizioni di legge”? L’espressione, probabilmente infelice, non può a giudizio dello scrivente essere interpretata in senso strettamente letterale. Ove infatti si desse rilevanza a qualunque distonia fra la fattispecie negoziale e quella legale, appare chiaro che la norma rimetterebbe all’arbitrio dell’amministratore e degli altri legittimati la possibilità di sciogliersi da qualunque negozio, magari perché accidentalmente divenuto sconveniente dal punto di vista economico o per effetto di un mero ripensamento.

Al tempo stesso la norma sanziona con l’annullabilità quei negozi che l’amministratore abbia posto in essere eccedendo i poteri all’uopo conferitigli dal G.T. (es. contratto concluso dall’amministratore in nome e per conto del beneficiario ma al di fuori dell’oggetto descritto dal provvedimento di cui all’art. 405 c.c.).

La norma correttamente attribuisce la legittimazione all’impugnativa allo stesso beneficiario—oltre che all’amministratore, al P.M., agli eredi ed aventi causa—così riconfermando la perdurante capacità processuale del soggetto debole.

Pare peraltro possibile operare una distinzione, argomentandosi da quanto previsto dall’art.. 1442 c.c., fra amministrazione di sostegno incapacitante o meno.

Nel caso, quindi, in cui all’amministratore siano stati concessi poteri di rappresentanza esclusivi senza alcun residuo spazio di autonomia per il beneficiario (che non siano quegli atti minimi della quotidianità comunque al medesimo conservati dall’art. 409 u.c. c.c.) dovrà interpretativamente ritenersi, in analogia con quanto previsto dall’art. 1442 2° co. c.c., che il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento per il beneficiario “incapacitato” decorra dal momento in cui tale stato sia cessato.

Invece, nella ipotesi in cui all’amministratore siano stati concessi poteri di rappresentanza concorrenti ed il provvedimento del G.T. abbia conservato la capacità negoziale del beneficiario, il termine a questi concesso per proporre l’azione di annullamento avverso l’atto compiuto dall’amministratore ultra mandato od in violazione di norma imperative dovrà necessariamente farsi decorrere dal compimento dell’atto medesimo.

Quid iuris nel caso in cui l’atto compiuto dall’ads travalichi completamente i poteri allo stesso attribuiti dal decreto di nomina? L’art. 412 c.c., in effetti, pare regolare espressamente un caso di minore gravità parlando di semplice “eccesso” di potere, mentre nell’ipotesi di atto totalmente estraneo ai poteri affidati ed all’oggetto del sostegno (si pensi alla stipula di un mutuo per conto ed in nome del beneficiario quando l’amministrazione riguardava unicamente compiti di assistenza, ovvero l’attribuzione di funzioni operative o limitate ad un singolo atto) l’annullabilità potrebbe rivelarsi forma di tutela non particolarmente appagante. Nell’ipotesi considerata, probabilmente, il riferimento normativo più adatto per dare risposta pare risiedere nell’art. 1711 c.c. che sancisce l’inefficacia dell’atto compiuto extra mandato, salvo ratifica. Nell’ipotesi di amministrazione di sostegno, naturalmente, la ratifica dovrà avvenire con le forme “vigilate” imposte dall’intervento giudiziale e quindi non potrà essere operata dal solo beneficiario senza autorizzazione del G.T. (salvo il caso di atto eccedente ma che rientra in una categoria di atti negoziali per il quale residua la piena capacità di agire dell’interessato).

Analoghe prospettive di tutela si pongono in caso di compimento di atti negoziali da parte dello stesso beneficiario, dovendo in questo caso giudicarsi della sorte degli atti contrattuali posti in essere dall’interessato. Per gli atti compiuti dopo la nomina dell’ADS, oltre alla distinzione fra tipologia di amministrazione (se concorrente od esclusiva) ed alla concreta disamina dell’atto (sempre valido, ad esempio, se posto in essere in esplicazione dell’art. 409 c.c.), vale il riferimento sostanziale all’art. 412 c.c.

Le problematiche maggiori per il beneficiario riguardano, piuttosto, le prospettive di tutela per gli atti pregiudizievoli compiuti prima della formale apertura dell’amministrazione di sostegno. Nell’impossibilità di fare ricorso all’art. 427 c.c. (operante per il diverso caso dell’interdizione o dell’inabilitazione) appare in tal caso applicabile il solo art. 428 c.c. che per i contratti richiede la prova, a volte difficile, non solo dello stato di incapacità esistente al momento del compimento dell’atto, ma anche della mala fede dell’altro contraente.


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