Le disposizioni in tema di amministrazione di sostegno non contemplano espressamente tale fattispecie. Esiste tuttavia in tema di società in nome collettivo una norma, l’art. 2294 c.c., che consente la partecipazione dell’incapace al consesso sociale nel rispetto delle disposizioni dettate in tema di tutela dei minori e degli incapaci (artt. 320, 371, 397, 424 e 425 c.c.). La possibilità di applicazione analogica, tenuto conto altresì del disposto dell’art. 411 c.c., che abilita il G.T. a richiamare effetti propri dell’interdizioni, appaiono peraltro sufficienti a risolvere la problematica indicata. In questo senso, del resto, è orientata la giurisprudenza nell’ipotesi in cui il Giudice Tutelare verifichi, nell’istruire il procedimento per Amministrazione di sostegno, la sopravvenuta incapacità d’intendere e di volere dell’amministratore di una s.n.c., è tenuto a stabilire se la nomina di un amministratore di sostegno sia idonea o meno a regolamentare, in linea con le finalità della legge, il caso concreto.
La circostanza che in concreto si ponga un’esigenza di continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale da parte di una persona che il giudice accerti essere incapace d’intendere e di volere, non può portare a ritenere che le norme del codice civile suggeriscano di preferire la misura dell’interdizione a quella dell’amministrazione di sostegno, posto che solo nel primo caso gli atti del tutore sarebbero assoggettati al doppio vaglio dell’organo collegiale del tribunale e del giudice tutelare: non appare, infatti, seriamente contestabile che dal combinato disposto degli artt. 2294, 371 e 424 c.c. sia desumibile il principio per cui il sindacato del collegio ed il parere del giudice tutelare rappresentino lo strumento ‘necessario per assicurare l’adeguata protezione’ dell’incapace nella gestione dell’impresa commerciale. In contrario si può infatti sostenere che la stessa misura dell’amministrazione di sostegno, calata sul caso concreto, con l’estensione al beneficiario delle norme dettate dagli artt.371 e 424 c.c. per l’interdetto (art. 411, ult. co., c.c.), si riveli in realtà parimenti idonea ad assicurare l’adeguata protezione dell’incapace (cfr. Trib. Roma, 7 gennaio 2005, in www.personaedanno.it).