21.05 - Il beneficiario può scegliere il proprio amministratore di sostegno?

Non è del tutto appropriato parlare di scelta, nel senso che il beneficiario non può indicare al giudice la persona da nominare come amministratore di sostegno in modo vincolante per il giudice.

Tuttavia, per effetto di quanto disposto dall’art. 408 c.c., l'interessato ha il diritto di indicare al giudice la persona preferita per tale funzione, e chiunque può designare la persona che, per l'eventualità di una propria futura mancanza di autonomia dovrebbe preferibilmente essere nominata amministratore di sostegno.

Risponde senza dubbio al criterio della valorizzazione delle aspirazioni del beneficiario la scelta quale amministratore di sostegno della persona che lo stesso interessato provveda a indicare. Corrisponde, in effetti, allo spirito della riforma che le istanze del beneficiario vadano considerate/ assecondate in ogni momento, compreso quello iniziale della messa a punto della misura di protezione. 

 Normalmente, l'amministratore di sostegno è scelto nella persona nei cui confronti l'amministrato ripone piena fiducia. Il legislatore non ha fissato un ordine di eligibili all'ufficio, predeterminandolo in modo rigido e secondo un prestabilito ordine gerarchico.  Il giudice sceglierà le persone, anche affettivamente, più vicine al beneficiario, quali: il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado (art. 408 comma 4, c.c.). 

Per effetto della l.n.76/2016 (art.1 comma 15), poiché nella scelta dell’amministratore di sostegno il giudice tutelare «preferisce ove possibile la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso», l’unito civilmente sarà chiamato a ricoprire detto incarico anche in via preferenziale rispetto agli altri soggetti astrattamente nominabili e idonei a ricoprire l’incarico. Qualora, peraltro, il giudice reputi in contrasto con l' interesse del beneficiando, la nomina della persona da questi suggerita, potrà incaricare della funzione un'altra persona, dandone congrua motivazione.

Circa l’indicazione della scelta dell’Ads da parte del beneficiario devono essere segnalate anche alcune prassi adottate presso i giudici di merito.

Il Tribunale di Bologna, ad esempio, tende ad accogliere l’indicazione del beneficiario quando essa ricada su uno dei soggetti indicati dall’art. 408 c.c., mentre l’indicazione non è consentita qualora essa converga su di una persona terza (ex un professionista); ciò per non condizionare la futura nomina da parte del GT.

Nelle situazioni di abbandono, quando il disabile non abbia madre, padre, fratelli e sorelle e neppure coniuge, unito civilmente o persona stabilmente convivente, il giudice può prescindere dall'elencazione che precede, chiamando all'ufficio di amministratore di sostegno «altra persona ritenuta idonea» (art. 408, comma 4, c.c.). In concreto, nella prassi, in assenza di significative figure di riferimento, il giudice può nominare all'incarico un professionista, avvocato, commercialista, un volontario adeguatamente formato, ecc...

 Può accedere che l’amministratore sia stato designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. 

Sul punto, riveste fondamentale importanza la pronuncia della Suprema Corte, (Cass. Civ. 15 maggio 2019, n.12998, sez. I ), riguardante il caso di una signora che, ricorrendo al Giudice tutelare di Savona, chiedeva di essere nominata come amministratore di sostegno del marito, essendo stata già designata dallo stesso nella funzione, con scrittura privata del 2014 e con procura speciale autenticata del 2015. Il giudice tutelare respingeva la richiesta ritenendo l'uomo pienamente capace di intendere e di volere. Avverso il decreto i coniugi proponevano reclamo alla Corte d'Appello di Genova, la quale, con ordinanza del 2016, lo rigettava ribadendo la valutazione circa la piena capacità dell'uomo e osservava che il diritto di rifiutare determinate terapie fosse al di fuori dell'ambito di applicazione dell'istituto dell'amministrazione di sostegno e non tutelabile dallo stesso. 

La S.C., accogliendo il ricorso, osserva che la Corte genovese non aveva considerato, infatti, la gravissima patologia da cui è affetto l'uomo (una malformazione artero-venosa) che comporta emorragie continue con conseguente instaurarsi di shock emorragico con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali e con gravi difficoltà nell'eloquio. Pertanto, in caso di crisi, soprattutto se sedato, non potrebbe esprimere in alcun modo il suo dissenso alle trasfusioni a base di emoderivati. Ad avviso dei Giudici della Prima Sezione, dunque, non può non disporsi l'apertura dell'amministrazione di sostegno a favore dell'uomo.

Invero, l' art. 408 c.c., nello stabilire che l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, è espressione del principio di autodeterminazione della persona in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana ed attribuisce rilievo al rapporto di fiducia interno tra il designante e la persona prescelta, chiamata ad esprimere le intenzioni in modo vincolato, anche per quello che concerne il consenso alle cure sanitarie.

Orbene, ad avviso dei Supremi Giudici, la designazione anticipata della persona dell'amministratore di sostegno ha anche la finalità di poter impartire delle direttive, quando si è nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere all'amministratore designato qualora si prospetti tale condizione del designante.

Già da tempo la Cassazione ha affermato che, in tema di attività medico-sanitaria, il diritto all'autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c'è spazio per una strategia della persuasione - perché il compito dell'ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza - e c'è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c'è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Né il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, può essere scambiato per un'ipotesi di eutanasia, giacché tale rifiuto esprime piuttosto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale.


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