17.01 - Quale criterio orienta il Giudice Tutelare nella scelta dell’AdS ? E quali criteri utilizza per operare tale scelta?

Al cuore dell'amministrazione di sostegno, più in generale al centro delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, è posto, dalla legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno, il soggetto destinatario della tutela.

Detto principio si declina nella necessaria considerazione, da parte di tutti i soggetti in qualunque modo coinvolti nella procedura: giudice, servizi del territorio, parenti, di quelle che sono le preferenze e le indicazioni che provengono dal diretto interessato, il quale dovrà essere oggetto di un ascolto attento ed empatico.

Quando si fa riferimento ad un ascolto accurato del beneficiario, ci si riferisce all’importanza che tutti devono riporre alla specifica attenzione ai bisogni ed alle aspirazioni del soggetto della cui amministrazione si discute, a partire da coloro che gli stanno più vicino: conviventi, parenti ed amici, agli operatori dei servizi socio-sanitari del territorio, sino ai soggetti istituzionalmente implicati nella procedura giudiziale: dagli avvocati delle parti, al Pubblico Ministero, al Giudice Tutelare.

Il criterio guida che orienta l’attività del Giudice Tutelare, ma che dovrebbe estendersi a tutti gli ulteriori soggetti attori della procedura, non può che essere il concetto di migliore interesse - cd. “best interest” secondo i canoni della normativa sovranazionale e convenzionale - del beneficiario, in modo tale che la scelta dovrà avvenire, secondo quanto dispone in via prioritaria l’art. 408 c.c., con riguardo esclusivo alla cura ed agli interessi del beneficiario.

E’ da ritenersi ormai definitivamente tramontata l’idea che a differenti gradi di invalidità o di incapacità del beneficiario corrisponda necessariamente una diversa considerazione per gli interessi della persona, come pure una differente qualificazione del soggetto vicario.

Pertanto in linea di massima, una qualunque delle figure prefigurate dalla norma può costituire soggetto potenzialmente idoneo in linea di principio, salvo poi nel caso concreto valutare la sua specifica propensione e disponibilità, oltre all’effettivo gradimento del rappresentato.

Solo al verificarsi di particolari e specifiche difficoltà operative nell’attività da svolgersi, potrà cogliersi l’opportunità di una diversa scelta, se del caso anche provvisoria, in favore di un determinato soggetto, ovvero un professionista: è quanto può accadere allorché si ponga il problema della prosecuzione ad esempio di un’attività d’impresa, ovvero della gestione di un compendio patrimoniale le cui dimensioni richiedono una specifica competenza ed organizzazione di mezzi.

Il richiamo che la norma adotta ai due concetti di “cura” ed “interessi” sta a significare equivalente considerazione per gli aspetti patrimoniali e per quelli personali, distinguendosi nettamente da questo punto di vista dalle pregresse, benché tuttora presenti, misure interdittive (inabilitazione e interdizione, artt. 414 e segg.), il cui focus era posto in via prevalente sugli aspetti gestionali-economici.

Detto criterio assicura a chi spetta decidere un'ampia facoltà di valutazione su quale sia il miglior soggetto da scegliere per assicurare al massimo grado possibile la cura degli interessi del beneficiario (vedi, ex plurimis, Cassazione 20 marzo 2013 n. 6861).

È proprio il momento della scelta dell’Amministratore di Sostegno a rappresentare la fase più delicata dell’intero procedimento, ed è per questa ragione che la scelta dell’Amministratore di Sostegno è stata rimessa al Giudice Tutelare, con la facoltà addirittura, in presenza di gravi motivi, di disattendere l’eventuale preventiva designazione che lo stesso interessato avesse avuto in animo di fare in previsione della propria futura incapacità. In sostanza la mortificazione della persona del beneficiario non è ammessa, così come non è consentito incidere nella dignità personale del medesimo.

In questa cornice non è un caso se l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato: è quanto prevede espressamente l'art. 408 c.c. al suo secondo comma. A questo scopo è fondamentale l'esame diretto da parte del giudice della persona, vale a dire il momento dell'audizione, a prescindere dalle effettive, residue capacità del beneficiario.

Gli stessi servizi socio-sanitari del territorio dovranno porsi il problema di acquisire tutte le informazioni necessarie, in questo senso comprensive delle determinazioni della persona.

Analogamente gli altri soggetti legittimati attivi a presentare la domanda saranno chiamati a chiarire preliminarmente come si pone il soggetto destinatario della tutela, se egli abbia compreso il tipo di sostegno suggerito, se acconsenta allo stesso e sulla base di quali direttive, anche per quanto concerne il soggetto vicario candidato alla nomina.

Dalla disciplina dettata con la Legge n. 6 del 2004 emerge l'intento del legislatore di salvaguardare nella massima misura auspicabile possibile l'autodeterminazione del soggetto in difficoltà, attraverso il superamento del momento autoritativo, tradizionalmente collegato al divieto di compiere una serie più o meno ampia di attività, in correlazione all'accertato grado di incapacità, a favore di un'effettiva protezione della persona, che si attua prestando precipua attenzione alla sua sfera volitiva ed alle sue esigenze, in conformità al principio costituzionale del rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo (in questo senso Cass. Sez. I, 11 settembre 2015 n. 17962).

Il giudice dovrà quindi tener conto dei desideri e delle preferenze del soggetto amministrato, in una prospettiva antropocentrica fatta propria, non solo dalla legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno (6/2004), ma anche dalle norme sovranazionali, in particolare dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (fatta a New York il 13/12/2006, ratificata dall'Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18) laddove si riconosce:

- lettera “n” (preambolo): “l'importanza, per le persone con disabilità, della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le loro scelte.

- lettera “o”: “Considerando che le persone con disabilità dovrebbero avere l’opportunità di essere coinvolte attivamente nei processi decisionali relativi alle politiche e ai programmi, inclusi quelli che li riguardano direttamente”.

Al giudice spetta il compito di valutare se le indicazioni fornite dal diretto interessato siano scevre da condizionamenti, sufficientemente orientate ed effettivamente rispondenti alle sue necessità e bisogni.

Ove la rete familiare sia funzionale e accudente, adeguata rispetto alle esigenze di cura ed assistenza della persona, non v'è motivo di allontanarsi da essa per cercare altrove il soggetto vicario.

I soggetti che possono essere scelti sono anzitutto indicati dalla legge (art. 408 c.c.), secondo un ordine che non è né gerarchico, né tassativo, comprendente un'elencazione dal valore prettamente programmatico (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 settembre 2011, n. 19596).

Al primo posto la legge pone il soggetto indicato dall'interessato mediante designazione anticipata.

In mancanza di designazione anticipata (e di gravi motivi che sconsigliano la nomina del soggetto designato) il giudice potrà nominare il coniuge che non sia separato legalmente; ovvero la persona stabilmente convivente, con previsione che realizza ed anticipa una significativa parificazione tra componenti della famiglia coniugale e della famiglia o convivenza di fatto (per convivenza di fatto si intende la condizione di "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile" - art. 1, comma 36, Legge n. 76/2016).

L'elencazione prosegue e prevede il padre o la madre; il figlio, il fratello, la sorella; un parente entro il IV grado.

La prassi di questi anni di applicazione ha visto prevalere, come è giusto che sia, le risorse e i contesti familiari, ma ha fatto altresì ampio ricorso all'apporto di professionisti, in misura prevalente di area legale, avvocati per lo più, circostanza da attribuirsi senz'altro alla quotidiana interazione con gli uffici giudiziari.

E’ prassi ampiamente adottata dai Giudici Tutelari quella che prevede, in caso di contrasti fra i familiari o i parenti in ordine alla nomina della figura vicaria, l’individuazione dell’amministratore di sostegno nel professionista indicato dall’amministrando, ovvero altra figura estranea alla famiglia.

Nella parte finale della norma di cui all'art. 408 cc, al giudice viene riconosciuta ampia discrezionalità, attraverso l'espressione “quando ne ravvisa l'opportunità”, al fine di consentirgli di discostarsi nella nomina dall'elencazione su richiamata, e individuare “anche altra persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II (persone giuridiche).

Va rimarcato il significativo apporto di esperienza e professionalità acquisiti in questi anni di applicazione della misura di protezione dagli avvocati, i quali, anche anteriormente alla legge sull'amministrazione di sostegno, sino al 2004, venivano non di rado coinvolti dai Giudici Tutelari nell'ambito della sia pur più modesta, in termini numerici, casistica di nomina di tutori per i soggetti dichiarati interdetti, ovvero per i minori in situazioni di abbandono, ma anche quali curatori di persone inabilitate, ovvero ancora per i minori per i quali è in corso una procedura di adozione, nonché in situazioni, di più rara individuazione giurisprudenziale, di conflitto d'interessi con i genitori.

Si sono rivelate nella pratica molto utili quelle prassi, sperimentate presso alcuni tribunali – vedi quello di Genova - di conferimento di un mandato esplorativo ad un professionista: da subito, prima dell'udienza di ascolto del beneficiario, viene nominato un amministratore di sostegno provvisorio - spesso un professionista - al quale viene affidato l'incarico di verifica circa: la possibilità di un consenso dell'amministrato alla conferma della nomina dell'amministratore; la sua situazione economica e patrimoniale; l'esistenza e consistenza di obbligazioni o criticità alle quali prestare soccorso; in pratica una fotografia fedele della situazione, molto utile al Giudice per poter in seguito confezionare un decreto maggiormente aderente alle esigenze della persona – si è parlato di un abito cucino sulle esigenze della persona.

L'assenso da parte del beneficiario alla scelta in via definitiva dell'amministratore provvisorio, già collaudato, contiene in sé una forte carica sintomatica della valorizzazione degli interessi della persona beneficiata, quanto meno sotto il profilo dell'agevolazione nella creazione di un rapporto fiduciario con l'amministratore.

Allorché vi siano dubbi sulla effettiva capacità del congiunto di operare scelte opportune nell'interesse del beneficiato, sarà d'uopo verificare in concreto se l'esclusione del parente sia effettivamente necessaria.

Ciò anche in considerazione del fatto che la nomina dell'amministratore di sostegno è da considerarsi un munus, vale a dire una funzione di pubblico interesse, ma anche un ufficio temporaneo, un incarico di servizio, mai definitivo, quand'anche la nomina sia effettuata a tempo indeterminato.

Laddove i servizi sociali proponenti l'applicazione della misura di protezione abbiano sconsigliato la nomina di un familiare, sarà compito del professionista eventualmente incaricato al posto del familiare verificare, se del caso anche con l'auspicabile collaborazione del medico di base e dei servizi sanitari, se le condizioni ambientali sconsiglino effettivamente la nomina di un familiare, che quindi potrà ritornare in pista ove i dubbi dovessero risultare diradati.

In questo modo si realizza quell'esigenza di creare rete di supporto, da tempo reclamata a gran voce soprattutto nelle sedi congressuali: rendere effettive le occasioni di confronto e di intervento integrato tra i diversi operatori socio-sanitari coinvolti, affinché la scelta dell'amministratore di sostegno si traduca nella persona in grado di interagire più efficacemente con coloro che costituiscono i riferimenti principali nella vita della persona.

Benché le norme non contemplino espressamente altre figure, è esperienza concreta, come talvolta possano essere chiamati a ricoprire funzioni di amministratore di sostegno anche figure non professionali, al di fuori della stretta cerchia dei soggetti indicati dalla norma: dal convivente non necessariamente stretto da rapporti affettivi con l’amministrando, al vicino di casa, al parroco, all'amministratore di condominio, all'amico di una vita dell’interessato.

Ancora: nonostante una prima lettura della norma paia escluderlo, anche il coniuge separato può talvolta rappresentare risorsa utile, al concorrere di determinate circostanze.

La norma prevede: “il giudice tutelare preferisce, ove possibile …”.  Quando possibile il giudice deve preferire il coniuge non separato. Ove ciò non sia praticabile e non vi siano ragioni ostative, allora il Giudice Tutelare potrà nominare anche quello separato.

A questa interpretazione si giunge comparando le ipotesi con quella prevista dal quarto comma dell’art. 408 c.c. che, solo qui, sancisce un divieto assoluto: “non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario”.

Gli operatori socio-sanitari che hanno in cura o in carico il soggetto, ai quali va ricompreso anche il direttore della struttura pubblica o privata – residenza protetta per lo più – dove è ricoverato, sono pertanto esclusi dalla possibilità di svolgere le funzioni di amministrazione di sostegno, per il concreto pericolo di venire a trovarsi in una situazione di conflitto d’interessi con la persona da amministrare.

Ulteriori elementi che vengono in evidenza nella scelta che il Giudice Tutelare è chiamato ad operare, riguardano la complessità dei compiti da assegnare all'amministratore di sostegno, ovvero la particolare delicatezza del caso o della patologia e le sue ricadute sulla vita del beneficiario.

In questo senso risulterà di fondamentale importanza che gli elementi sottoposti all'esame del giudice, sin dal ricorso introduttivo della misura di protezione, siano più dettagliati e completi possibile.

Le informazioni che potranno pervenirgli in via diretta attraverso l'ascolto, non solo del destinatario della misura, ma delle persone di riferimento ed in specie dai familiari, dagli assistenti sociali, dal personale medico o paramedico; anche attraverso scritti e relazioni, permetterà di disporre di un presidio di protezione più confacente alla situazione specifica.

Il profilo della complessità del caso, che inizialmente aveva dato luogo a pronunce che ritenevano di poter ripartire in funzione di tale aspetto il duplice strumento protettivo dell'amministrazione di sostegno e dell'interdizione, ritenendosi da taluno che ad una maggiore complessità del caso dovesse derivare la necessità di una pronuncia di interdizione, può dirsi ora superato dall'ormai prevalente criterio di funzionalità.

Più volte il giudice di legittimità si è espresso nel senso che la scelta deve ricadere sulla misura, e sulla persona, maggiormente in grado di spiegare efficacia protettiva, e nel contempo tale da conservare e promuovere le residue potenzialità della persona.

La stessa Corte di Cassazione da atto però che la valutazione non può non essere influenzata anche dalla complessità del tipo di attività da compiersi in nome del beneficiario della protezione; tuttavia riconosce che la particolare elasticità delle norme sull'amministrazione di sostegno fa sì che essa possa essere graduata sino a ricomprendere molte, se non tutte, le previsioni di legge dettate in materia di interdizione o inabilitazione.

La possibilità di integrare ad libitum – senza limiti - il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno si inserisce proprio in questa finalità della legge: quella di adattarsi non solo alla persona, ma alle esigenze della persona nella sua continua evoluzione.

Caratteristica precipua dell'amministrazione di sostegno è data proprio dal suo essere non la cristallizzazione di un insieme di rapporti, stabilita all'atto dell'emissione del provvedimento giurisdizionale e nel quale l'attività esecutiva era rimessa in larga misura all'attività svolta dalle figure del tutore e del curatore, ma una sorta di lavoro in progredire - work in progress - nel quale fondamentale è la continua interrelazione tra il giudice e la figura dell'amministratore.

Cosicché potrà darsi ad esempio l'utilità di nomina del marito ad amministratore di sostegno della moglie, colpita da ictus, nella fase più delicata dell'apprestamento delle cure, e in una fase successiva della vita del nucleo familiare l'opportunità di nomina di un professionista terzo, nella specie uno psicologo esperto di scienze umane e del settore della disabilità, allorché il marito intenda promuovere una domanda di separazione e si ponga il problema della fase di passaggio anche per quanto concerne l'interesse del minore a mantenere i rapporti con una madre in condizioni di grave disabilità.

In tal caso la scelta può, molto opportunamente, ricadere su professionista “che possa interpretare correttamente le aspirazioni della beneficiaria, così da guidarla, se del caso, verso una separazione legale che sia rispettosa delle sue esigenze (anche economiche), e che tuteli al massimo livello i bisogni del figlio minore (Giudice Tutelare di Genova, decreto del 29.08.2009).

Benché la norma non contempli l’ipotesi di nomina di due amministratori di sostegno, la stessa è stata ritenuta applicabile al verificarsi di particolari circostanze: quando ad esempio si tratta di provvedere a due distinti ambiti di vita del beneficiario, uno tipicamente imprenditoriale e l’altro di tipo personale.

L'equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi: se la pur riscontrata esigenza di protezione della persona, capace ma in stato di fragilità, risulti già assicurata da una rete familiare all'uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all'istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in ispecie ove all'attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute.

E’ quanto ribadito da recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la numero 29981 del 31.12.2020, in una vicenda che vedeva la persona destinataria della misura di protezione affetta da una menomazione fisica grave, come la cecità assoluta, che certo la pone in una posizione di inferiorità psichica e di necessità di essere quindi assistita e coadiuvata nelle sue competenze ordinarie e straordinarie. Ma, come correttamente rileva la Corte, tale forma di assistenza è da oltre venti anni adeguatamente curata da una rete familiare ed amicale, ben coordinata dalla figlia, che provvede a soddisfare esaurientemente le esigenze di assistenza della madre, la quale non intende in alcun modo modificare l'organizzazione della sua vita, esprimendo chiaro dissenso alla possibilità di intrusioni di persone estranee di cui ritiene giustamente di non avere necessità desiderando invece conservare la sua autonomia decisionale.


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