Fulcro indispensabile per il funzionamento del nuovo sistema di protezione dei disabili è il provvedimento giurisdizionale; il decreto del g.t. Quest’ultimo rappresenta la fonte dei poteri dell’amministratore di sostegno e, di conseguenza, delle attività che lo stesso può espletare in sostituzione, ovvero, in assistenza al beneficiario (art. 405, 5° co., n. 3 e 4, c.c.). Quest’ultimo, per questi specifici atti, subisce una conseguente deminutio di capacità d’agire.
Con riguardo alle vecchie misure di protezione, la fonte dei poteri di tutore e curatore discendeva direttamente dalla legge, la quale individuava esattamente, seppur in termini astratti, ciò che interdetto ed inabilitato potevano o non potevano compiere in campo negoziale, una volta pronunziata sentenza, in forza di un rigido ed immutabile clichè.
Nell’amministrazione di sostegno, invece, la perimetrazione dell’agire del beneficiario in campo negoziale e delle facoltà che competono al sostituito sono concretamente e, volta a volta, individuati dal provvedimento giudiziale.
Con l’amministrazione di sostegno, tutto è focalizzato sul decreto del g.t. “personalizzato, fatto per riguardare soltanto la creatura oggetto di ascolto – che le scolpisce intorno un “vestito su misura” (Cendon 2005).
In dottrina ancora: “l’amministrazione di sostegno si presenta, in definitiva, come un “contenitore” suscettibile di essere riempito dei provvedimenti e degli assetti organizzativi più svariati. E’ il giudice tutelare che decide se ammettere e fino a che punto estendere il sostegno richiesto (e per il quale lui stesso può procedere anche d’ufficio), plasmando volta a volta la risposta secondo le specifiche necessità della persona da proteggere” (Cendon 1988).