L’AdS è frutto della stagione che si era inaugurata a Trieste sin dagli anni 70, e prima ancora a Gorizia negli anni 60, con esperienze progressive di demanicomializzazione. Momenti favoriti anche dalla entrata in vigore della Legge Mariotti di fine anni 60, che favoriva i processi di trattamento volontario psichiatrico nell’ambito dei vecchi ospedali, senza toccare la legge manicomiale del 1904.
Fu sempre più evidente soprattutto negli anni 70, e ancor più dopo l’entrata in vigore della legge 180 del maggio 1978, che tutte le esperienze di costituzione di case-appartamento, di ritorno provvisorio o definitivo degli internati alle loro case, di soluzioni abitative comunque de istituzionalizzate, che ogni scommessa di risocializzazione erano fortemente ostacolate da una mancanza, all’interno del diritto civile, di strumenti idonei a favorire per l’appunto, in maniera efficace, il reinserimento della persona fragile nel territorio.
Si trattava in generale di persone portatrici di ombre non tali da impedire loro l’esecuzione di qualsiasi operazione giuridica, e tuttavia tali da ostacolare la conclusione di qualunque contratto con qualche punta di impegnatività e difficoltà. L’unica risposta prevista dal codice civile, in quegli anni, era l’interdizione o l’inabilitazione. Si trattava però di “una armatura”, spesso sproporzionata alle reali condizioni di salute dell’interessato, e comunque tale per se stessa da contraddire l’idea della tendenziale normalità e praticabilità di vita quotidiana da parte della persona: oltre tutto una etichetta che per la sua rigidità e infamità contrastava con quelle esigenze terapeutiche di recupero e empowerment presenti nel quadro di una terapia psichiatrica che continuava anche nella nuova situazione extramuraria.
Ma il limite maggiore che si rese sempre più evidente in quegli anni era in effetti un altro. Alcune di queste persone che uscivano dal manicomio o che erano sollecitate a non andarvi (molti reparti non erano ancora chiusi) non stavano comunque abbastanza male da poter essere interdetti o inabilitati. Per loro non c’era quindi nessuna forma di protezione giuridica possibile: non stavano abbastanza bene da poter conferire una valida procura; non erano in grado di concludere da soli certe operazioni negoziali (compravendita, locazioni, accettazioni di eredità, rinunce, operazioni bancarie importanti, ecc.) e non stavano nemmeno abbastanza male da poter essere interdette o inabilitate, tenuto conto che per entrambi gli istituti esisteva una soglia di disagio/psichico esistenziale che doveva comunque essere superato.
Si trattava insomma di persone che, stando “così così”, risultavano sostanzialmente abbandonate a se stesse.