Il beneficiario, per poter proporre il ricorso, deve essere in grado di comprendere, almeno parzialmente, il senso e la portata della sua richiesta.
La domanda presentata dal beneficiario non gode, dal punto di vista del suo esame e della relativa decisione, di un trattamento preferenziale rispetto a quelle promosse dagli altri legittimati, dovendo sempre e comunque essere valutati il fondamento dell’istanza e la sussistenza dei presupposti che consentono l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, senza alcuno spazio ad inopportuni e superficiali automatismi fra la richiesta per sé e la pronuncia di accoglimento.
Emblematico in questo senso è il caso deciso dal Tribunale di Modena con il decreto 22.7.2009, in www.personaedanno.it, che ha accolto solo in minima parte il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno a se stesso presentato da un trentatreenne con disturbi comportamentali, in rapporto conflittuale con la madre. Il Tribunale, valutata come strumentale l’iniziativa giudiziaria, ha concesso la misura richiesta non per il motivo addotto dall’istante ma al solo fine di dargli un sostegno a fronte delle sue parziali disabilità psichiche, nominando un amministratore estraneo al nucleo familiare perché coadiuvasse il beneficiario tanto nel reperimento di un’occupazione lavorativa quanto in un progetto di cura della salute volto a favorire più equilibrati rapporti con la madre, anche eventualmente integrando la di lui volontà ove fosse necessario esprimere un consenso informato per cure e trattamenti sanitari ordinari.
Da un differente angolo visuale, il consenso del beneficiario alla misura neppure è richiesto, in termini di adesione, allorquando questi sia convenuto nel relativo giudizio, su iniziativa di altro soggetto legittimato: ciò per intuitive ragioni connesse alla sua protezione; sul punto, di recente, si è espressa la Suprema Corte, la quale ha precisato che la misura dovrà imporsi in tutti i casi in cui (assente la rete protettiva di cui al punto che precede), la riluttanza del destinatario derivi da un senso di orgoglio ingiustificato (e/o da un dissenso palesemente viziato), tale da pregiudicarne la piena tutela (Senz.t Sez. I nr. 22602/2017, punto 18.6).