L’interpretazione letterale del disposto affidato all’art. 404 c.c. evidenzia trasparente quali siano le condizioni essenziali per procedere a nomina dell’a.d.s.
All’uopo sono congiuntamente necessari presupposti soggettivi ed oggettivi.
Nel primo insieme rientra la constatata condizione di disabilità del destinatario della misura protettiva, definita persona “inferma”, ovvero, “menomata” (fisicamente o psichicamente)."
Da un punto di vista oggettivo, poi, per via dell’affezione, la persona disabile dovrebbe essere “impossibilitata a provvedere ai propri interessi”; interessi aventi natura patrimoniale, ovvero, personale.
Per tal via viene individuato implicitamente ma chiaramente un ulteriore presupposto d’insorgenza dell’amministrazione di sostegno, ravvisato nel necessario nesso eziologico intercorrente tra disabilità ed impossibilità a provvedere alla cura dei propri interessi (su cui infra §).
Alla stregua del tenore letterale della disposizione normativa in esame, lo spettro applicativo della nuova misura di protezione appare particolarmente ampio, dato che l’art. 404 c.c. richiama le “infermità” e le “menomazioni” di ordine “psichico” che affliggono il disabile.
Il legislatore ha adottato una formula lessicale che riecheggia la terminologia concernente le persone che “possono” essere interdette, ossia, quanti “si trovano in condizioni di abituale infermità di mente e che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi” (art. 414 c.c.).
Rispetto a quest’ultimo dato normativo, tutto imperniato sulla nozione di “infermità mentale”, sulla malattia mentale, il legislatore del 2004, quale presupposto applicativo, ha introdotto innovativamente il riferimento alla “menomazione” (“fisica o psichica”) o “infermità”, che è un concetto molto più ampio (Farolfi 2014, 64).
Riferendosi alle persone affette da “infermità” o “menomazione fisica o psichica”, l'art. 404 c.c. pare richiamare la nozione di “persona con disabilità”, di cui all'art. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 (ratificata dalla'Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18), a tenore del quale: “per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di eguaglianza con gli altri”.
La nozione posta a fondamento della richiesta di interdizione, ovvero la nozione di “infermità mentale”, non è stata richiamata come esclusiva per la nomina dell'a.d.s.
E’ noto che nell’ordinamento giuridico non è riscontrabile una nozione di “infermità mentale”. Ciò aveva indotto la dottrina a richiamarsi alla concezione scientifica di infermità nella sua continua evoluzione, intesa come malattia mentale, comprendente anche ulteriori forme di alterazione psichica: “mentre ogni malattia mentale è infermità non è affatto vero il reciproco, ricordandosi l’esempio dell’ipnosi che non può definirsi malattia bensì un’infermità” (Napoli 1995, 25).
Esistono situazioni di disagio psichico che non sono clinicamente malattie.
In ogni caso, la giurisprudenza (formatasi in tema di interdizione) aveva affermato che l’infermità mentale legittimante il provvedimento ablativo non debba necessariamente rivestire i caratteri di una patologia clinicamente ben definita e sia accompagnata da manifestazioni demenziali (Cass. 12 maggio 1948, n. 704, FI, 1948, voce “Inabilitazione e interdizione”, n. 6); essendo invece necessaria la presenza di un’alterazione delle facoltà mentali, tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi (Cass. 13 febbraio 1958, n. 457; Cass. 8 luglio 1976, n. 2553).
Presupposto soggettivo per la nomina dell’a.d.s. è quindi la “infermità” (fisica o psichica), ovvero la “menomazione fisica o mentale”, e perciò la compromissione del normale funzionamento dell’organismo.
Di recente, ad esempio, la Suprema Corte ha precisato che la mera situazione di analfabetismo non giustifica il ricorso alla amministrazione di sostegno (cfr. Sent. Sez. I Nr. 4709/2018).
Una pronuncia parzialmente distonica, invece, è rappresentata dalla Ordinanza Sez. I nr. 5492/2018: in tale occasione, infatti, la Corte ha ritenuto applicabile la misura in parola ad un soggetto affetto da prodigalità, pur avendo soggiunto, condivisibilmente, come tale condizione possa essere in realtà indipendente da uno stato patologico.
Agli effetti della nomina del vicario, è necessario poi che tale disabilità incida negativamente compromettendola sulla capacità gestionale.
Per procedere all'attivazione della nuova forma di protezione, accanto al presupposto (soggettivo) della disabilità del soggetto, l’art. 404 c.c. esige un ulteriore elemento, avente natura oggettiva, non connesso alle condizioni personali del beneficiario; dato che può essere assistita da un amministratore di sostegno “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi…” (art. 404 c.c.).
Pure l’art. 1 della l. n. 6 del 2004 richiama questo presupposto di natura oggettiva, nelle diverse accezioni del “sostegno temporaneo o permanente”, a favore di persone “in tutto o in parte” prive di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.
Per la nomina di un amministratore di sostegno, l’art. 404 pone una più che evidente correlazione tra patologia o disagio riscontrato in capo all’amministrando ed “impossibilità di provvedere ai propri interessi”.
A questo riguardo va ripetuto quanto autorevolmente affermato a proposito del secondo presupposto richiesto per la pronunzia di interdizione, nel vecchio testo dell’art. 414 c.c., ossia che “non basta che il soggetto sia mentalmente malato, ma occorre anche che l’infermità incida sulla sua attitudine a curare adeguatamente i propri affari patrimoniali e personali” (Bianca 2002, 253; Napoli 1995, 39).
Come si è osservato, l’impossibilità prevista dall’art. 404 c.c. consiste nell’inettitudine della persona alla cura dei propri interessi.
Unicamente la “impossibilità o la difficoltà” gestionale giustifica la nomina dell'a.d.s., non anche la mera presenza di “difficoltà relazionali”, a fronte delle quali i problemi (normalmente presenti nella vita di chiunque) non sono solubili invocando la nomina protettiva (Trib. Modena 20 marzo 2014, in dejure, ha rigettato il ricorso avanzato dai servizi sociali a beneficio di persona che presentava “mere difficoltà nelle relazioni sociali”).
L’impossibilità può essere anche soltanto “parziale o temporanea”. L’impossibilità temporanea consiste “nell’inettitudine che costituisca l’effetto di una malattia o menomazione di cui si possa diagnosticare la guarigione o il superamento e che perciò appaia non avere carattere duraturo” (Delle Monache 2004, 41; Bonilini 2007, 90).
La valutazione della durata dell’impossibilità è imposta al giudice per la determinazione del dies ad quem di efficacia della misura dell’amministrazione di sostegno
Diversamente dalle vecchie misure di protezione dei disabili (interdizione ed inabilitazione), il nuovo istituto espressamente prevede che l’incarico di amministratore di sostegno possa avere una “durata” (espressamente l’art. 405, 6° co., c.c.), dato che può essere “a tempo determinato” (art. 405, 5° co., n. 2, c.c.).
La nomina di un amministratore di sostegno presuppone che il giudice accerti la condizione di disabilità in cui versa il soggetto “per effetto” della quale lo stesso non è in grado di curare i propri interessi.
L’uno e l’altro presupposto (soggettivo ed oggettivo) devono essere legati da nesso di interdipendenza o nesso causale (Roma 2004, 1008), cosicché la disabilità determini l’impossibilità di cura dei propri interessi (Bonilini 2007, 89. In giurisprudenza, chiaramente per il rapporto di interferenza, Cass. 4 febbraio 2014, n. 2364, in DG. Per la giurisprudenza di merito, Trib. Modena 21 marzo 2005, in personaedanno).
Laddove quindi il disabile, nonostante la condizione personale di disabilità, fisica o psichica, sia egualmente in grado di attendere ai propri interessi, la richiesta di nomina di un amministratore di sostegno va respinta (Bonilini 2007, 89).