04.01 - A cosa serve l’amministrazione di sostegno, qual è la sua funzione essenziale ?

Lo finalità dell’amministrazione di sostegno è felicemente enunciata nell’art. 1 della legge n. 6 del 9 gennaio 2004: “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.

Come precisato dalla Corte Costituzionale, sulla scia della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 22602/2017 e Cass. Civ. n. 114/2019), l’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità (Corte Cost., Sentenza 13 giugno 2019, n. 144).

La sua funzione essenziale è, quindi, quella di aiutare, coadiuvare e tutelare le persone che, a causa di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica si trovino nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere alla cura della loro salute ed alla tutela dei loro interessi patrimoniali, affinché possano raggiungere la piena realizzazione di tutti i fondamentali diritti della persona previsti e tutelati dalla nostra Costituzione

Tale finalità si raggiunge sia valorizzando e promuovendo le residue autonomie dei singoli beneficiari, diverse da persona a persona, al fine di consentire di autodeterminarsi nell’ambito dei rapporti personali e patrimoniali, sia dando loro sostegno per affrontare tutti i problemi della quotidianità, come acquistare, vendere o affittare un appartamento, investire somme di denaro, acquistare un’automobile, assumere una badante, ecc., ma agendo sempre "con" i beneficiari, coinvolgendoli nelle decisioni importanti e meno importanti della loro vita, e non agendo "al loro posto".

Perché ciò avvenga è fondamentale, soprattutto nel caso di amministratori di sostegno professionisti, porsi nei confronti dei beneficiari in maniera paritaria, senza far pesare il proprio ruolo o la differenza di cultura o di età. 

Il compito primario dell'amministratore di sostegno è, infatti, quello di aiutare i beneficiari e non quello di prevaricare o imporre loro delle scelte, abusando del proprio potere. 

E' importante allora instaurare un costante e sereno confronto, sapere ascoltare e dialogare, al fine di costruire un rapporto amichevole, un'alleanza che definirei "interattiva" per distinguerla da quella terapeutica che si instaura con il medico, cioè sviluppare una relazione forte e leale, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco, ponendo sempre al centro del rapporto la "persona", senza mai umiliarla o calpestare la sua dignità.

Chi sceglie di occuparsi di persone deboli e fragili deve avere una sensibilità ed una umanità superiori alla media e soprattutto deve tener ben presente che il beneficiario non è un "cliente".

Nella maggior parte dei casi non ha bisogno di una persona distaccata e lontana, ma più semplicemente di un amico, di un confidente con cui condividere le sue esigenze di vita e le sue scelte, perché spesso è una persona come noi, che svolge anche un'attività lavorativa, ha relazioni sociali, affettive, ha bisogni ed aspirazioni, più o meno importanti, che non vanno assolutamente ignorate o calpestate.

Gli interessi da tutelare non sono solo quelli di natura patrimoniale, ma anche e soprattutto quelli relativi alla capacità di organizzare un progetto di vita serio e durevole, nella consapevolezza delle proprie condizioni personali.

L'attività dell'amministratore di sostegno deve essere sempre e continuamente pervasa da questa connotazione, altrimenti si rischia di creare un muro invalicabile e di emarginare il beneficiario.

Non a caso, l'art. 410 c.c. rubricato "Doveri dell'amministratore di sostegno", dispone che l'amministratore, nello svolgimento dei suoi compiti, deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, informandolo e coinvolgendolo per quanto possibile nell'attività che svolge a suo favore.

Nel corso del tempo le richieste e le esigenze dei beneficiari possono modificarsi, più o meno profondamente, a seconda delle loro condizioni di vita, del patrimonio e dello stato psico-fisico, ma la estrema flessibilità e duttilità dell’istituto consentirà al giudice tutelare di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Corte Cost., Sentenza 13 giugno 2019, n. 144).


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