Sono stati presentati in questi anni alcuni progetti in tal senso. Il problema è molto delicato. I casi che si considerano sono di solito quelli delle ragazze anoressiche che non vogliono mangiare, delle donne incinte che bevono troppo o prendono sostanze psicotrope, in generale i giovani che rifiutano di andare in comunità.
Data la sostanziale impossibilità di applicare situazioni del genere alla disciplina del TSO psichiatrico di cui alla Legge 180/1978, data altresì l’impossibilità di applicare questi meccanismi in via analogica, stante gli ostacoli costituiti dalla presenza dell’articolo 32 della Costituzione, ci si interroga sulla opportunità di immaginare che all’interno di un progetto esistenziale/terapeutico messo a punto dal GT, con il supporto di tutti i sanitari nonché degli operatori di servizi socio-sanitari interessati, vengano introdotti momenti di vincolatività per il caso di fallimento del “piano persuasivo” alle cure di cui al decreto stesso. E’ indubbio che una conclusione del genere nell’ambito della legislazione oggi esistente non vi sia e si discute quindi sulla modalità attraverso cui mettere lineamenti del genere al centro di una normativa di riforma.
Indubbiamente l’inserimento o l’indicazione del genere nel tessuto di una disciplina morbida, elastica, affettuosa come quella dell’AdS rappresenta un passo in avanti rispetto invece ai contesti normativi che vedono al centro della procedura figure amministrative o meramente sanitarie: soprattutto in considerazione del fatto che nell’AdS trova compiuta espressione – cosa che non succede altrove – il sapiente accostamento del momento esistenziale a quello esistenziale/familiare, patrimoniale, residenziale, in una prospettiva di vasto respiro, senza quei limiti di tempo che sarebbero poco compatibili con una seria prospettiva di cura.