01.04 - Sentiamo spesso ripetere che una delle chiavi di volta dell’AdS è il passaggio da una concezione "paternalistica" ad una concezione "promozionale". E’ vero?

Certamente sì. La concezione paternalistica è quella che ha dominato per secoli l’approccio all’orizzonte della fragilità: un atteggiamento non ignobile in se stesso, mosso quasi sempre da spirito caritatevole, commosso, lacrimevole, ma proprio per questo troppo spesso sbilanciato sul versante commiseratorio/assistenziale. “Poveretta ti è andata male nella vita, ci dispiace!” – “Non preoccuparti se sei nato disgraziato, per fortuna che c’è chi pensa a te” Sappiamo noi di cosa hai bisogno, conosciamo il problema, abbiamo già nel cassetto tutte le soluzioni che ti possono servire”. I limiti di questa impostazione sono evidenti. Il soggetto fragile si vede ricacciato in partenza all’interno di una certa categoria e non viene interpellato materialmente su ciò che va e ciò che non va nella sua vita. Deve chiedere che gli venga dato qualcosa, finisce in effetti per ottenere qualche provvidenza da parte della Pubblica Amministrazione, ma alla fine si “chiede grazie e fa la riverenza”. Il lettore può pensare ad esempio alla Piccola fiammiferaia di Andersen o al Libro Cuore di De Amicis, a certe considerazioni di Manzoni nei Promessi Sposi, a più di un personaggio di Victor Hugo.

La concezione promozionale vede invece la persona fragile come portatrice di un proprio desiderio di vita, di un proprio progetto esistenziale. E’ una persona che sa perfettamente che cosa vuole e che cosa non vuole, che conosce i suoi bisogni, che detesta di essere compatita per le sue disgrazie, che vede i suoi deficit come un fatto tutto sommato marginale, che potrà essere risolto neutralizzato più o meno efficacemente se venissero assunte alcune provvidenze. Identifica se stesso nella realtà dei propri desideri, propri progetti. Vede quei deficit fisici, o al limite psichici, come altrettanti ostacoli alla realizzazione di stesso, vive pensando costantemente alla distanza che si frappone tra ciò che è costretto ad essere, a fare, ad avere, e le soglie di una fragranza esistenziale che potrebbe invece raggiungere se quegli ostacoli fossero rimossi.

In un sistema in cui domina l’egoismo, in cui la solidarietà è una parola fuori legge, in cui la collettività non assegna a se stessa alcun dovere nei confronti delle persone meno fortunate, l’impostazione promozionale finisce per essere qualcosa di velleitario, di capriccioso e di ridicolo.

In una società che invece sceglie la linea contraria, la concezione promozionale diventa l’unica corrispondente al sistema.

Davanti dunque a chi è in difficoltà il primo passo è sempre quello dell’ascolto: cercare di farsi dire o di capire quali sono le esigenze, i bisogni, le aspirazioni dell’interessato.

Si tratta poi di identificare concretamente quegli ostacoli, si tratta di fare un piano di rimozione degli ostacoli stessi, sul terreno del trasporto, del lavoro della casa, dei social, della scuola, delle relazioni sociali. Se questo reticolato di interventi verrà posto in essere, quel famoso “desiderio “dell’interessato diventerà realtà. Se invece la Società, per qualsiasi ragione fallirà in quel computo di rimozione degli ostacoli, quel desiderio continuerà a restare un sogno deludente e frustrato.

L’impostazione promozionale, come si vede, sposta il momento del deficit dal centro identificato della persona ad un punto di contorno. Il centro è il progetto, il desiderio, l’aspirazione di vita. Al di fuori, in qualche modo, esiste invece l’ostacolo che blocca o imprigiona la persona: come una tagliola esteriore, una barriera marginale e contingente. In un sistema come quello italiano fondato sull’articolo 3 della Costituzione, comma secondo, “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La mancata adozione di quelle iniziative di rimozione degli ostacoli può esporre lo Stato stesso ad azioni di responsabilità. L’ente o la persona che non hanno fatto quello che dovevano fare per la rimozione degli ostacoli saranno responsabili del danno che il soggetto ha subito per effetto di quella negligenza, per il fatto di aver continuato a vivere una vita deludente e di serie B.

In questa impostazione si suole dire che non esistono quindi soggetti deboli, esistono solo soggetti indeboliti per effetto della mancata fornitura ad opera della Pubblica Amministrazione o dei soggetti obbligati, di quelle “misure di rimozione degli ostacoli” che occorreva adottare in concreto.


Cosa cambieresti o aggiungeresti rispetto alle indicazioni di cui sopra?